SOTTO L’OMBRELLONE: BERTONE. LA MONTAGNA COME RIFUGIO

4 Agosto 2021

Giornalista per Rolling Stone, GQ e La Repubblica, Giulio Andruetto vanta interviste a personaggi del calibro di Johnny Rotten e Yoko Ono. Non stupisce che nel 2017 si sia voluto cimentare con un memoir dedicato a Giorgio Bertone: con il suo approccio innovativo alla scalata l’alpinista caro alla tradizione FILA è diventato un’autentica leggenda, vera rockstar d’alta quota.

“Di Bertone so poco” ammette il giornalista “mi chiedo chi fosse. Che cosa ha fatto nella sua vita. Cosa pensava. Perché nel suo ambiente fosse così stimato e persino invidiato”. A partire da questo assunto, Andruetto scrive La montagna come rifugio, collage di testimonianze, racconti e confessioni di chi l’atleta piemontese l’ha conosciuto ed affiancato, nel delicato tentativo di comporre un ritratto per chi non c’è più. “La gente di montagna ha molta voglia di raccontare la propria storia. Senza le radici, un albero muore”.

Giorgio Bertone è stato artefice di un concetto di alpinismo nuovo, moderno. La sua perizia si accompagnava ad una personalità forte, complessa, contraddistinta da una perpetua curiosità. A partire dal 1964 apre nuovi itinerari tutti retti, difficilissimi, esteticamente perfetti. La salita dello Sperone nord-est della Pointe de l’Androsace, nel settembre del ’64, ne è un esempio. Bertone è in anticipo su tutti per le incredibili capacità tecniche e la tensione fisica e mentale con cui affronta le sue la natura selvaggia.

Il suo talento incontra anche la rivoluzione dello stile: nei primi anni Settanta diventa uomo immagine di WHITE ROCK, la nascente linea di abbigliamento ed equipaggiamento montano firmata FILA. Nel 1974, coadiuvato de Renzino Cosson, raggiunge la Yosemite Valley in California e scala El Capitan, lungo le rocce del Nose: è il primo alpinista italiano a compiere un’importante impresa Made in USA. Grazie ai colori FILA, scrive Andruetto, la silhouette di Bertone somiglia ai cartoon di Keith Haring, ai ritratti di Matisse, tratteggiando un’immagine destinata a rimanere nella memoria collettiva.

La missione di El Capitan costituisce un precedente, lo sottolinea un altro grande uomo FILA, Reinhold Messner: “Giorgio ha indubbiamente incarnato un nuovo approccio alla disciplina, ma quello che ai tempi più ci colpì fu l’ampiezza delle sue vedute: nessuno poteva prevedere una simile impresa da parte di un italiano, rimanemmo stupefatti quando comunicò la decisione di partire per l’America”.

Benché ne La montagna come rifugio si avvicendino scalate d’importanza, il punto di forza del libro – enunciato sin dal titolo – non è la celebrazione dell’atleta, ma la conciliazione con la natura, invocata come dimensione abitativa a misura per l’uomo. Bertone era nato con un’ovvia predisposizione in tal senso, e per tutta la sua vita ha sempre cercato una relazione quasi meditativa con la roccia, cosa per la quale i suoi proseliti ancora nutrono ammirazione.