COLOR PALETTE: IL BLU
Andrea Sachs (Anne Hathaway), protagonista del film Il diavolo veste Prada (2005), non ha ancora chiaro chi sia Miranda Priestley quando, durante un fitting, ridacchia di fronte alla scelta di una cintura. Ma la direttrice di Runway, interpretata da Meryl Streep, la mette in riga con un monologo che conosciamo a memoria: “Tu pensi che questo non abbia niente a che vedere con te. Tu apri il tuo armadio e scegli, non lo so, quel maglioncino azzurro infeltrito per esempio, perché vuoi gridare al mondo che ti prendi troppo sul serio per curarti di cosa ti metti addosso. Ma quello che non sai è che quel maglioncino non è semplicemente azzurro: è ceruleo […] selezionato per te dalle persone qui presenti in mezzo a una pila di…roba”.
Nel 2016 Caitlin Dewey riporta sul Washington Post gli studi che confermano che il blu sarebbe non solo il colore più diffuso su internet, ma in generale il più apprezzato nel mondo, da pubblici di ogni genere. Un dato curioso, se pensiamo che non è certo uno dei primi apparsi nella storia dell’uomo: le caverne preistoriche, infatti, sono dominate da pitture rossastre. La prima civiltà capace di apprezzare il blu è quella degli Antichi Egizi, che incastonano i lapislazzuli del Badakhshan nelle maschere funerarie (come quella di Tutankhamon). A causa del costo delle pietre, tale costume è meno diffuso tra Greci e Romani: non è un caso se nella ricchissima lingua greca manca una parola capace di dire ‘blu’. Diviene una nuance diffusa solo a partire dal Medioevo, quando il concilio di Efeso (431 d.C.) decreta che il velo di Maria debba essere rappresentato con tonalità azzurre, da quel momento associate alle sfere di religione e spiritualità.
Nel Rinascimento, gradualmente, il colore si lega al concetto di nobiltà, e nei ritratti le vesti delle dame sono un trionfo di panneggi dai toni lunari. In questa narrazione, com’è ovvio, gioca un ruolo cruciale anche lo sviluppo della scienza: nel 1706 lo svizzero Johann Jacob Diesbach ricava il Blu di Prussia, tonalità profonda che trova vasta applicazione nella pittura (vedi La grande onda di Kanagawa del giapponese Hokusai, 1831). Le tinte azzurre diventano così popolari da favorire un’ampia diffusione di sfumature, dal cobalto al ceruleo sino all’oltremare. L’ultima importante variante, l’International Blue Klein (IKB), viene registrata nel 1960 dall’artista francese Yves Klein, che l’adotta nelle sue opere perché “non ha dimensione, va oltre le dimensioni”. Lo stesso colore è protagonista di uno dei film più radicali della storia del cinema, Blue di Derek Jarman (1993), una slide blu di 75 minuti accompagnata unicamente da voce narrante e sottotitoli.
Tra gli ammiratori dell’IKB c’è anche il designer colombiano Haider Ackermann, che nel concepire la collezione Fall Winter 2023 da lui disegnata per FILA ha posto tale nuance in una palette dominata da tinte lisergiche. E nella storia del brand sportswear, lo sappiamo, il blu ricorre in più modi e con più anime: è navy nel logo F-BOX e nelle prime tute tennis, azzurro nei costumi AQUA TIME, elettrico in capi iconici come la Jet Suit delle Olimpiadi Invernali di Torino 2006.
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