COLOR PALETTE: IL ROSA
In una celebre scena de Le iene (1992), debutto alla regia di Quentin Tarantino, i membri di una gang di rapinatori scelgono i propri nomi in codice affidandosi ai colori: tra essi c’è anche un giovane Steve Buscemi, che non appena viene battezzato Mr Pink protesta, ritenendo che il rosa non si addica al suo status di gangster. Chissà se, trent’anni dopo, il regista manterrebbe invariata la sceneggiatura, soprattutto in un 2023 in cui la stessa nuance regna sovrana. Merito di un altro film, Barbie di Greta Gerwig, il cui successo planetario è dovuto anche a scenografie, costumi ed effetti speciali pastello, che hanno riportato l’attenzione su una tinta dalla storia fascinosa e complessa.
Uno studio del 2018 su campioni di rocce di 1,1 miliardi di anni fa ha portato alla luce pigmenti rosa brillante derivanti da fossili cianobatteri oceanici, avvalorando la tesi secondo cui sarebbe il colore più antico apparso sulla Terra. Certo è che circa 9.000 anni fa, sulle montagne andine, le cacciatrici dell’area oggi conosciuta come Perù tingevano le loro vesti con l’ocra rossa, derivato dell’ossido di ferro che conferiva alla pelle una colorazione rosea generale. La stessa materia venne adottata nell’antico Egitto per pittare le labbra e le guance degli uomini, costituendo una rudimentale forma di make-up.
Il più forte shift socioculturale, tuttavia, avviene nella Francia del XVIII secolo: dopo aver notato l’accesso delle classi popolari a coloranti duraturi e brillanti, l’aristocrazia, per distinguersi, brama tinte pastello. ‘Testimonial’ dell’epoca è Madame de Pompadour, amante di Luigi XV, la cui passione per il rosa conquista i pittori di corte e una casa produttrice di porcellane, Sèvres, che nel 1757 inventa una sfumatura ancora nota come Rose Pompadour.
L’associazione tra il colore e la sfera femminile è più recente di quel che pensiamo: i ritratti di gentiluomini occidentali del XVIII e XIX secolo sfoggiano infatti moltissime mises tenui, e nel romanzo The Great Gatsby (1925) di Francis Scott Fitzgerald il dandy protagonista esibisce completi color cipria (indossati anche dai divi che lo hanno incarnato al cinema: Robert Redford e Leonardo DiCaprio). Le cose iniziano a cambiare tra gli anni ’30 e ’40 del Novecento, quando gli uomini adottano tinte scure mutuate dal mondo della finanza, e la sfera domestico-femminile si lega a un universo dai toni pastello. Una separazione che rimane netta per poco tempo: i movimenti femministi degli anni Sessanta non esitano a contestare un’immagine ritenuta eccessivamente rassicurante, debole, derivata dal contesto infantile.
E la moda? L’archivio FILA è ricco di rosa, presente in più declinazioni senza distinzioni di età o genere. Toni pastello compaiono già agli esordi di WHITE LINE (1973): l’attenzione per le giocatrici si concretizza in completi che, oltre ad agevolare il gesto atletico, catturano gli sguardi con un’estetica nuova, accattivante. Tra le migliori ambassador della linea c’è un mito del tennis, Monica Seles, che tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta ispira e interpreta capi inconfondibili, come le tute in triacetato fucsia. E se di rosa parliamo, allora non possiamo che concludere con lei, la Maglia Rosa del Giro d’Italia, indossata nel 1998 da Marco Pantani per portare a casa una vittoria clamorosa, nel cuore di tutti gli appassionati di sport.
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